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Barbara Altissimo è coreografa, performer e regista, protagonista del teatro-danza contemporaneo in Italia, si esprime sul crinale che unisce e separa movimento e parola. Ha studiato a New York ed in Europa, ha lavorato con la Compagnia Valeria Moriconi, con il Teatro Stabile di Torino, con l’Archivolto di Genova, con il Teatro di Dioniso, da tempo alterna la creazione all’attività didattica che conduce nel corso di perfezionamento per attori del Teatro di Roma diretto da Luca Ronconi o al Centro Ricerca Teatrale Universitario di Torino. La sua compagnia LiberamenteUnico è nata nel 1998 ed ha realizzato nove spettacoli, tra cui Rosetta Fu e l’ultimo, intenso, Polvere. Per ulteriori dettagli http://www.liberamenteunico.it
Il suo percorso di donna e artista. Quali elementi differenziano l’opera di una donna da quella di un uomo?
Ci ho pensato tante volte, penso nessuno; le differenze dipendono dalle sensibilità personali, non dal genere.
Tra la vocazione artistica e la raggiunta autonomia c’è stato un divario? Ha fruito del sostegno della famiglia?
La famiglia mi ha dato un grande supporto, ha avuto fiducia in me anche se forse avrebbe preferito un destino artistico diverso, magari nella danza classica o nel contesto più commerciale del musical. Credo che ognuno venga al mondo sapendo fare qualcosa e se veramente ciascuno coltivasse il suo talento darebbe il proprio contributo alla collettività; penso che la mia vocazione sia saper leggere le cose umane e raccontarle, innervando i racconti almeno di un minimo senso sociale. Il mio spettacolo più recente, “Polvere, la vita che vorrei”, è nato da una collaborazione tra la mia compagnia e l’Associazione Outsider Onlus coinvolgendo alcuni ospiti del Cottolengo di Torino, con cui continuo ogni settimana il laboratorio: è stata ed è un’esperienza splendida, io vedo nella sbagliatezza umana la bellezza massima e mi circondo di una materia viva che dà significato al mio lavoro.
Racconti, se si è verificato, un episodio determinante per la sua scelta professionale.
Niente in particolare e tanti piccoli accadimenti: mi dicono che a tre anni dimostrassi già un’attitudine esibitoria; è stato il tunnel della danza classica, intrapreso in tenera età, ad indirizzarmi per contrasto verso quello che sono ora. Mia madre adorava l’arte di Tersicore, la faceva studiare a me e alle mie due sorelle e ci portava a vedere i balletti alla Scala.
Investimenti privati e finanziamenti pubblici: cosa pensa della relazione tra denaro e cultura?
Non credo all’assistenzialismo statale, anche se il pubblico dovrebbe farsi carico della cultura preservando alcune peculiarità, al contempo bisognerebbe tornare ai finanziamenti privati, magari gestiti con criteri più commerciali; insomma, il sistema andrebbe completamente ristrutturato.
L’essere donna è stato un vantaggio, un ostacolo o un aspetto ininfluente?
Ininfluente, o meglio l’ostacolo a volte è l’essere come si è, non uomo o donna.
Quali tematiche privilegia e a cosa sta lavorando?
Lavoro sul microcosmo interiore, è la mia urgenza, quella città sotterranea di pensieri e momenti in cui ognuno manifesta i piccoli traumi che ne stanno determinando il futuro; tra i progetti, mi piacerebbe fare un secondo step con i ragazzi del Cottolengo su Shakespeare, il Sogno di una notte di mezza estate o altro: nelle loro bocche certe battute sulla fragilità dell’uomo evocano sensazioni inimmaginabili.
Ha qualche consiglio da dare ad artiste emergenti?
Restate fedeli alla vostra arte, alla vostra necessità, il bisogno di riconoscimento non deve essere più forte della tua natura. Io non ho bambini ma gli spettacoli che ho fatto sono come figli, ho avuto ed ho, per loro, la stessa cura di una madre con la prole.