Taglio trasversale esplicito o intuitivo. Forma scalena mutevole oppure immobile. Natura artificiale disposta a farsi contemplare nell?algida avarizia - calcolata - del bianco e nero. Francesca Dotta sceglie il soggetto ? oggetto comune ? e lo racconta attraverso suggestioni formali ricavando nuovi ruoli interpretativi, nuovi punti di vista.
Parrebbe, la sua, una necessità di entrare ?dentro le cose? per descriverne forma e materia, attraverso un punto di vista ravvicinato, prepotente, innaturale. Bagliori metallici, venature del legno, lucide plastiche e chiaroscuri d?uovo; oggettistica di quotidiana appartenenza offerta all??occhio meccanico? per un?analisi di forma e materia.
Visioni che raccontano con spirito grafico ed essenziale oggetti che spesso stanno sul palmo di una mano e che invece appaiono smisurate presenze un po? inquietanti.
L? ?occhio? segue l?andamento curvilineo di un mestolo; precipita vertiginoso lungo l?impugnatura di un cucchiaio; si sofferma, impaziente, sui dentelli di una lucida chiave d?acciaio, o sulla spirale affilata di un cavatappi; oppure ancora, scandisce il ritmo, severo e cadenzato, degli elementi di uno scolapiatti non più riconoscibile.
Astrazione e poetica concettuale, favorita quest?ultima da titoli che incoraggiano, alcune volte inseguono, altre ancora allontanano l?oggetto dal suo abituale significato o funzione. Meglio se con ironia.
L?obbiettivo è dunque uno strumento di ?rivelazione?, capace di svelare quella realtà segreta, invisibile allo sguardo distratto dell?occhio qualunque, per restituircela ipertrofica attraverso ottiche iperfocali. Non il colpo di sonda bressoniano, ma il ?tempo lungo? di una fotografia progettata e messa a punto con intenti precisi, tempi ragionati, utili a catturare una nuova essenza a contrasto elevato, a discapito dei grigi intermedi..
La cosità delle cose, potremo chiamarla?
Andrea Delle Case