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Dacia Maraini è una scrittrice, poetessa, saggista, drammaturga, sceneggiatrice italiana, tra le personalità più importanti del mondo letterario nazionale, con opere tradotte in tutto il mondo. Nel 1990 ha vinto il Premio Campiello con “La lunga vita di Marianna Ucrìa”, nel 1999 il premio Strega con “Buio”, nel 2012 ha ricevuto il premio Campiello alla carriera.
Un percorso di donna e scrittrice. Nel suo mestiere, ritiene ci siano diversità di genere?
No, però esiste una differenza di punti di vista. Non c’è uno stile femminile, la diversità non c’entra con il genere, c’è il punto di visto storico, delle donne da sempre discriminate o emarginate dalle sfere di potere. Roland Barthes diceva che lo stile è carnalità verticale, ma non si connota per la sessualità.
Nella sua scelta artistica, la famiglia l’ha osteggiata o sostenuta?
Tutti in famiglia scrivevano, mio nonno, mio padre, è stato naturale che mi incoraggiassero; in casa mia mancava tutto ma non i libri, sono cresciuta circondata dai grandi classici. A tredici anni ho cominciato a scrivere sul giornale della scuola a Palermo, il liceo Garibaldi, a diciassette ho fondato una rivista letteraria e intanto scrivevo racconti e poesie. Sono stata letterariamente precoce.
Racconti, se si è verificato, un episodio determinante per la sua scelta professionale.
Non è capitato niente di particolare, ho continuato la tradizione di famiglia. Fin da piccola sapevo benissimo cosa avrei voluto fare, e cosa poi ho fatto, ma non si vive con la scrittura, io ci ho messo cinquant’anni! In un paese che non legge con i libri non si vive, infatti, intervistando gli scrittori, si scopre che sono anche insegnanti, giornalisti o altro ancora.
Cosa pensa dei finanziamenti pubblici alla cultura?
Dipende dal contesto. Lo scrittore ha bisogno di tempo e di fiducia mentre al teatro servono i finanziamenti, perché costa caro, non è autosufficiente, ma è molto importante per un paese civile; forse però, più che di finanziamenti, preferirei si parlasse di detassazione. Esistono manifestazioni, come il Salone del Libro di Torino o il Festival di Letteratura di Mantova, che servono alla diffusione del libro, ma lo scrittore non guadagna in quelle situazioni. Però il fatto che tutti vogliano scrivere significherà pur qualcosa, a mio avviso permane l’idea che lo scrittore abbia un certo prestigio sociale, se no non si spiegherebbe questo proliferare.
L’essere donna è stato un vantaggio, un ostacolo o un aspetto ininfluente?
Un ostacolo. Nel mercato no, la maggioranza dei lettori sono donne, ma nelle istituzioni letterarie, quelle che danno le indicazioni per le future generazioni, lì le donne sono grossolanamente discriminate: se ne trova una su 100 ruoli di rilievo. Quando si tirano le fila, si fanno grandi panoramiche progettuali, le donne spariscono.
A cosa sta lavorando?
Ad un romanzo nuovo, ma non ne parlo perché non è ancora il momento.
Lei è anche impegnata come direttrice artistica del festival Il Teatro Sull’Acqua, ci svela qualcosa?
E’ una bella iniziativa ad Arona, descritta sul sito www.teatrosullacqua.it, presentiamo spettacoli sul lago Maggiore e organizziamo incontri con gli autori per far conoscere i libri e indirettamente promuoverne la distribuzione.
Ha qualche consiglio da dare a scrittrici giovani ed emergenti?
Leggere tantissimo, scrivere molto, non rincorrere il successo perché il successo scappa sempre e coltivare la propria passione.
[Le fotografie sono state realizzate da Massimo Ilardo a Torino in occasione dello spettacolo "La bambina e il sognatore"]