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Eliana Cantone è un’attrice di teatro. Si è formata tra Irlanda ed Italia, lavora con la compagnia Il Mutamento Zona Castalia con cui ha girato l’Italia ed ha recitato in Russia, Spagna, Polonia, Messico. Spesso protagonista di intensi monologhi, Cantone è stata diretta da Giordano V. Amato, Massimo Giovara, Eugenio Allegri, Sotigui Kouyatè, Alejandro Jodorowski. Per informazioni sul calendario degli spettacoli e sui laboratoriwww.mutamento.org
Il percorso di donna e artista. Quali elementi differenziano il suo approccio al mestiere rispetto a quello di un uomo?
“Il confine tra uomo e donna è fragile, a volte dicono che quando recito sono più uomo che donna perché il mio modo di recitare è da guerriero, è marziale, ma io traggo queste sfumature dalle mie esperienze di vita: ho fatto di tutto, dalla maestra all’operaia, ma tutto è stato un arricchimento. Qualsiasi mestiere è un’arte. Poi l’andare a fondo nelle cose è diventata la mia verità, anche a costo di farsi del male, di scoprire l’inconfessabile e in questo riconosco la mia femminilità: scendere in profondità è molto femminile. Cercare la verità, anche in palcoscenico, per darla agli altri. L’essenza delle cose non ha sesso, è semplicemente essenza”.
Tra la vocazione artistica e la raggiunta autonomia c’è stato un divario? Ha fruito del sostegno della famiglia?
“Mi hanno osteggiata parecchio in famiglia, avevano paura ed io mi sono impratichita nel teatro quasi sotterraneo: seguivo i corsi di nascosto, poi sono uscita allo scoperto dicendo che volevo fare arte professionalmente ma per attuare il mio proposito sono andata in Irlanda, dove avevo vinto un Erasmus durante il percorso di studi universitari [conclusi brillantemente, ndr], a recitare in una lingua non mia, per due anni. Tuttora i miei genitori fanno fatica ad accettare il mio lavoro e mi chiedono quando troverò un impiego serio; non credo sia per cattiveria, c’è molto affetto ed amore, solo non corrispondo all’immagine di figlia che si erano figurata. Ho scoperto però che mia nonna, che ora ha 97 anni, organizzava tutti i sabati sera una sorta di bizzarro varietà casalingo, apprezzato e frequentato: deve avermi trasmesso qualcosa!”.
Racconti, se si è verificato, un episodio determinante per la sua scelta professionale.
“Chi mi ha convinto davvero a fare l’attrice è stato Eugenio Allegri. Gli devo molto, ma devo molto a parecchie persone; sono tanti gli incontri, i maestri di ogni tipo che ricordo con gratitudine”.
Investimenti privati e finanziamenti pubblici: cosa pensa della relazione tra denaro e cultura?
“Credo che tutti dovrebbero investire in cultura, sia da parte del privato che del pubblico. In un momento di grande crisi come questo vedo che le persone si aggrediscono con facilità; togliendo il teatro dalle scuole, ad esempio, sta cambiando il modo di crescere e di vivere dei ragazzi, che si abituano a questa brutalità latente. Senza i libri finiremmo per accoltellarci in mezzo alla strada, dice mio padre. Ritengo sia molto pericoloso non investire in cultura adesso, credo fermamente in Primo Levi che considerava la cultura un nutrimento. Senza, si muore”.
L’essere donna è stato un vantaggio, un ostacolo o un aspetto ininfluente?
“Per me che sono molto maschile a volte è stato un ostacolo, ma nella maggior parte dei casi un vantaggio”.
Quali tematiche privilegia e a cosa sta lavorando?
“La spinta principale che mi sta muovendo adesso che ho compiuto 40 anni è chiedermi in ogni istante cosa desidero ed agire di conseguenza, esser sincera con me stessa e consequenziale. Sto lavorando al secondo tassello di un progetto triennale di produzioni, lontanamente ispirato alla “Divina Commedia”, di cui il primo è stato “A noi vivi! L’Inferno” incentrato sull’economia e sull’utopia di un mondo senza lavoratori per lucro; il secondo momento è sul “Purgatorio” e sulla zona grigia in generale, quella in cui non si prendono decisioni. E’ tra il “Purgatorio” di Dante e “Aspettando Godot” di Beckett. Intanto lo spettacolo “A noi vivi! L’inferno”, che ha debuttato il 1° ottobre 2015 nell’ambito del festival “Il Sacro attraverso l’Ordinario”, sta andando bene, nel confronto con pubblici diversi. E’ una pièce sulla finanza ma anche sul dedicarsi del tempo; il pubblico giovane risponde bene ed anche gli anziani, anche se subito possono essere un po’ sconcertati perché, da pensionati, non avvertono il problema della mancanza di tempo per sé; il lavoro è interattivo, è necessario sapersi mettere in gioco, siamo alla 14° replica e lo spettacolo sta cambiando. E’ adatto a tutti gli spazi, un po’ meno ai teatri all’italiana”.
Ha qualche consiglio da dare ad artiste emergenti?
“Suggerisco di farsi delle domande sincere, senza giudicarsi ed accettare quello che arriva. Capire cosa si vuole da questo mestiere, puntare all’obiettivo dicendosi la verità. A prescindere non c’è nessuna intenzione sbagliata; per riuscire, è importante non ingannarsi”.