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Miriam Mesturino è attrice. Nasce in una famiglia ad alta propensione teatrale: è nipote del geniale impresario Giuseppe Erba (a lui si deve tra l’altro l’attuale Teatro Regio di Torino) e figlia degli architetti Gian Mesturino e Germana Erba, condirettrice artistica di Torino Spettacoli e dei teatri Erba, Alfieri, Gioiello, nonché fondatrice del Liceo Coreutico Teatrale. Miriam nasce attrice. Recita in teatro e televisione ed è doppiatrice.
http://www.miriammesturino.it/ Il suo percorso di donna e artista. Nel suo mestiere, ritiene che ci siano diversità di genere? Non penso che dovrebbero esserci; per me cambia l’approccio emotivo, credo che noi donne abbiamo una sensibilità, una capacità di cogliere le sfumature, forse più immediata. Per lavorare io metto in gioco una parte razionale, che mi deriva dallo studio della recitazione e un altro lato emotivo, al quale, col passare degli anni, mi affido di più.
Tra la vocazione artistica e la raggiunta autonomia c’è stato un divario? Ha fruito del sostegno della famiglia? Mia padre avrebbe voluto che le tre figlie fossero avvocato, commercialista, medico. Solo una mia sorella ha seguito i suoi desideri. A me sarebbe toccata l’avvocatura e in effetti mi ero iscritta a Giurisprudenza e avevo dato qualche esame, ma intanto frequentavo l’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico a Roma. Certamente la famiglia mi ha incoraggiato e poi mi ha aiutato economicamente nel periodo formativo, anche se in realtà avevo dei piccoli risparmi, perché ho cominciato a lavorare molto precocemente. Ho iniziato in un momento più favorevole, si faceva tanta radio e le tournée erano importanti, di 4 o 5 mesi e con buone paghe; ero scritturata delle compagnie di Lauretta Masiero e Ernesto Calindri e ho potuto guadagnare decorosamente piuttosto presto, ma nel nostro mestiere riuscire ad avere una continuità è impossibile, ricominci sempre da capo sia psicologicamente sia fattivamente. Non mi è mai mancata la presenza affettiva della mia famiglia in ogni frangente di difficoltà, viviamo lontano ma il legame è molto saldo.
Racconti, se si è verificato, un episodio determinante per la sua scelta professionale. In verità non posso parlare di un episodio perché ho deciso di fare l’attrice nella totale incoscienza quando ero piccola e non è mai successo niente che mi facesse cambiare idea. Sono cresciuta in un’atmosfera propizia, studio danza e recitazione da quando avevo 6 anni e fin da piccina mi sono abituata a vedere molti spettacoli. Mi piaceva l’idea di poter vivere tante vite, non pensavo di dedicarmi esclusivamente al teatro, infatti il doppiaggio per la tv lo faccio da quando ero bambina. In palcoscenico sono salita a otto anni, per un giallo di Agatha Christie, “La tela del ragno”; lo si rappresentava durante le vacanze di Natale, eravamo state prese in tre per la medesima parte, per interpretarla a rotazione e non affaticarci troppo, ma all’ultimo le mie colleghe sono state portate dai genitori a sciare e così mi sono sobbarcata tutte le repliche, comprese quelle di capodanno, prima e dopo mezzanotte…mi ero addormentata in quinta, ma dovevo impersonare una bimba assonnata, quindi era andato tutto bene. Investimenti privati e finanziamenti pubblici: cosa pensa della relazione tra denaro e cultura? Mia mamma negli ultimi anni aveva cominciato a dire che sarebbe stato meglio andare avanti con gli incassi, rinunciando ai finanziamenti; era una dichiarazione frutto dello scoraggiamento per come sono strutturate le erogazioni pubbliche. In teoria penso che sia meraviglioso il sostegno pubblico alla cultura, per promuovere un certo tipo di spettacolo, invece credo che la farsa o certe proposte commerciali è giusto vivano di incassi, ma è molto difficile applicare questi principi nella pratica e valutare, in modo competente, a chi distribuire le sovvenzioni e a chi no. Nel nostro paese ora c’è stato un ulteriore scombussolamento legislativo, un progetto culturale di un certo livello dovrebbe essere premiato ma la gestione non è così limpida, peccato. L’essere donna è stato un vantaggio, un ostacolo o un aspetto ininfluente? Lo considero un vantaggio, sono contenta di essere donna e di essere come sono, anche se dal punto di vista pratico ci sono più personaggi maschili e per giunta ci sono più attrici che attori. Non ho mai sfruttato la mia femminilità con chi avrebbe potuto agevolarmi ma ho visto che continua a capitare, soprattutto in tv e al cinema dove gira più denaro; non mi sembra un bel modo di essere donna, anzi, e poi diventa uno svantaggio se non sei disponibile.
Quali tematiche privilegia e a cosa sta lavorando? Non essendo un lavoro che dà continuità le proposte che arrivano si accettano, in particolare sono nel cast di “Toc Toc”, una commedia che parla di disturbi ossessivo compulsivi, il calendario è sul mio sito; da dieci anni è in scena a Parigi e da otto a Madrid, io l’avevo letta e avevo manifestato da subito il desiderio di recitarla, poi è successo davvero e mi ha fatto molto piacere. Amo molto la drammaturgia contemporanea però vorrei mettere in scena uno Shakespeare, non ci sono riuscita quest’anno, nel 2016, per i 400 anni dalla scomparsa, ma lo si può allestire anche senza ricorrenze. Ha qualche consiglio da dare ad attrici emergenti? A dodici anni ero andata a salutare in camerino un’attrice molto famosa e le avevo detto che avrei voluto fare il suo mestiere, lei mi aveva suggerito accorata “ma tesoro fai qualcos’altro”. Allora non avevo capito, la sua vita mi sembrava invidiabile, probabilmente si riferiva alle sicurezze che mancano, alla gestione dei figli se vengono, però non mi sembra giusto scoraggiare, piuttosto si deve applicare il buon senso sapendo che l’impegno è tanto, il risultato non è facile e immediato ed è opportuno coltivare varie possibilità, cioè è meglio diversificare tra teatro, televisione, cinema, doppiaggio.