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Olga Gambari, curatrice, giornalista e critica d’arte, direttore responsabile del primo free press di arte contemporanea per tutti ArteSera, coautrice de “Le città che si chiamano Torino”, una raccolta di pensieri orali, proiettati sul futuro ma edificati sulla coscienza di un passato; collabora con La Repubblica, insegue, coltiva, scopre, diffonde, promuove e condivide l’arte contemporanea.
Quali elementi differenziano, nel suo ambito professionale, lo stile di una donna rispetto a quello di un uomo?
Le modalità non dipendono dal genere ma dai singoli individui; detto questo il lavoro del curatore è molto materno, perché richiede grande attenzione e capacità di ascolto.
La crisi della critica: quali notizie dal pianeta “arte”?
Il mondo dell’arte ha perso l’ideologia della critica come tendenza, da tempo si è smarrito lo sviluppo critico di un pensiero, ora l’approccio è soggettivo, autoreferenziale, non appartiene ad un movimento e questo conduce le persone a disinteressarsi dell’arte contemporanea, ritenuta accessoria, cavillosa, innervosente, perché mancano la vitalità concettuale e le figure di riferimento. Nonostante questa situazione, resta vivida ed interessante la sua dimensione di trasversalità e conseguente mescolanza dei pubblici. Le gallerie annaspano perché al di là del rito mondano dell’inaugurazione restano deserte, sono percepite come lontane, respingenti, anche se dal basso stanno crescendo nuove pratiche, buone, con progetti aperti alla gente e realizzati da collettivi di artisti ed architetti che mettono in comune spazi e competenze. Qui però si insinua la crisi della critica, quando il curatore o il giornalista dovrebbe comunicare le parole dell’arte, ma affetto da narcisismo, comunica se stesso, invece di tradurre il pensiero degli artisti che giustamente lo concretizzano nelle opere. Basterebbe guardare l’altro non in verticale ma in orizzontale, ristabilendo così un contatto anche con il tessuto sociale.
Racconti, se si è verificato, un episodio determinante per la sua scelta professionale.
Volevo fare l’archeologa, mi attirava il bello dell’antichità; poi, da bambina solitaria e silenziosa, mi sono anche appassionata di cinema. Solo dopo, all’università, dove erano rari gli insegnamenti di arte contemporanea, frequentando un corso sull’Informale mi si è aperto tutto questo mondo; erano gli anni 90, ci si sentiva parte di un flusso che stava prendendo corpo, emergente, imperioso. E’ andata così.
L’essere donna è stato un vantaggio, un ostacolo o un aspetto ininfluente?
Ininfluente.
In ambito artistico, lei crede sussistano ancora discriminazioni?
No, non c’è assolutamente discriminazione, c’è piuttosto la solita questione antropologica: in una coppia di artisti che ha un bambino è spesso la madre a convogliare il flusso di attenzioni verso il cucciolo e a sospendere il lavoro; questa situazione non la classifico però come problema, mentre lo è l’abbrutimento della società, che mi ha portato ad essere un’agguerrita femminista di ritorno, anche per difendere una parte degli uomini, incolpevoli, la cui immagine soffre pesantemente per la barbarie degli altri.
Qual è il rapporto dei bambini con l’arte contemporanea?
Vanno dotati di strumenti di contatto, poi i concetti li capiscono per istinto; in presenza di un’opera forte, di talento, i ragazzi manifestano un’empatia fisica che si misura in sguardi e silenzi; l’arte autentica emana una sorta di magia ed i bambini sono rabdomanti.
Investimenti privati e finanziamenti pubblici: cosa pensa della relazione tra denaro e cultura?
La cultura e la scuola devono essere sostenute dal pubblico, è fondamentale, sono i primi obiettivi di un’economia e di una politica sane, in un territorio nazionale; invece gli imprenditori, oltre a dover essere favoriti fiscalmente, dovrebbero poter serenamente guadagnare in termini di immagine, mentre qui è ancora disdicevole parlare di soldi, legati ad arte e cultura. Quindi pochi privati investono e solo in certi grandi eventi, mentre servirebbe, e manca, una progettualità a lungo termine, nel parco vasto dell’arte contemporanea.
Quali progetti la impegnano attualmente?
Mi sto occupando di “The Others”, un’esposizione internazionale di arte emergente collocata nell’ex carcere Le Nuove a Torino; la quarta edizione si terrà dal 6 al 9 novembre 2014, dallo scorso anno ho la direzione artistica e lavoro con Roberta Pagani e Stefano Riba, del comitato scientifico;le informazioni si trovano suhttp://www.theothersfair.com; sto anche preparando, per ottobre 2014 alla Fondazione Merz, la mostra di una coppia di artisti milanesi, Masbedo, molto interessanti perché poliedrici, concepiscono l’opera d’arte come totale, unendo il cinema, il teatro, la musica: sono calati nel contemporaneo ed intendono il mondo, tutto, come materiale a disposizione per creare.
Ha qualche consiglio da dare a giovani artiste o future critiche d’arte?
Di avere un approccio come i Masbedo, considerare tutto il mondo come materiale creativo.