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Un confronto tra gli ultimi due personaggi teatrali che ha interpretato e che sta recitando: attualmente in “Processo a Dio” e, nella stagione scorsa, in “Terra di latte e miele”.
"Quello che interpreto ora, Elga Firsch, è un personaggio di fantasia, nato dall’immaginazione di un giovane, serio e bravo autore, Stefano Massimi: è un’attrice sopravvissuta alla deportazione che decide di intentare un processo a Dio per motivare l’Olocausto; Leah, protagonista di “Terra di latte e miele”, era un personaggio reale in cui si rispecchiava l’autrice Manuela Dviri: una donna di Gerusalemme che ha perso un figlio in guerra. Sono ebree entrambe ma è casuale, non voglio specializzarmi in ebraismo, interpreto testi che ritengo interessanti, arricchenti, che parlano di come le donne si pongono di fronte ai grandi interrogativi della vita o del nostro tempo."
[“Processo a Dio” sarà al Teatro Gobetti di Torino dal 27 marzo al 1 aprile; tournée completa nella sezione Eventi]
D. Il suo percorso di donna e artista: quali elementi lo differenziano da quello di un uomo, che abbia intrapreso la stessa strada professionale?
R. Nell’ambiente del teatro, del cinema e dello spettacolo in generale, essere donna è al contempo positivo e negativo. Nei testi teatrali e nelle sceneggiature dei film ci sono, in percentuale, meno personaggi femminili; inoltre, spesso gli stessi autori sono uomini, che si trovano a dover raccontare l’animo femminile; per questo è necessaria una certa sensibilità poetica, i grandi scrittori infatti sono asessuati. Poi ci sono risvolti più banali, come l’importanza del fisico, che conta di più rispetto ai colleghi maschi, di cui non si dice mai “di bella presenza”; talvolta è imbarazzante, ma io non sono mai stata attrice da copertina; non ho fatto a suo tempo una battaglia femminista ma ho portato avanti una battaglia in quanto persona.
D. Tra la vocazione artistica e la raggiunta autonomia c’è stato un divario? Ha fruito del sostegno della famiglia?
R. Avendo cominciato da bambina, ad undici anni, ho certo avuto il sostegno della famiglia, ma una volta l’autonomia dei giovani era un concetto molto diverso da quello attuale, io fino a 18 anni, quando non lavoravo, dovevo tornare presto e non avevo le chiavi di casa. I miei sono sempre stati felicissimi delle mie scelte, mi hanno aiutato molto, spingendomi a selezionare le occasioni in base a criteri artistici e non economici, nonostante non fossimo ricchi.
D. Racconti l’episodio che ha determinato il passaggio da un sogno d’arte ad una professione d’artista?
R. Sono stata fortunata, all’inizio lo consideravo un bellissimo gioco; allora, ai primi tempi della televisione, che noi non avevamo neppure, la popolarità non era come adesso, un imperativo, non mi sono quindi mai posta l’obiettivo di essere famosa. Poi, intorno ai 16 anni, quando stavo recitando ne “Il giardino dei ciliegi” di Cechov con la regia di Luchino Visconti, ho conosciuto alcuni giovani attori che frequentavano l’Accademia d’Arte Drammatica di Roma, tra cui Gabriele Lavia e Paola Gassman, verso i quali ho provato come un complesso di inferiorità, perché studiavano, approfondivano tante materie interessanti; avrei voluto fermarmi per andare anch’io a scuola, ma mi hanno convinto a non farlo, anzi, mi hanno aiutato a capire l’importanza di essere così inserita nel lavoro nonostante la giovane età. E’ stata quella la mia svolta.
D. Il finanziamento pubblico alla cultura è importante?
R. Il teatro, da un certo punto di vista, è tutto sovvenzionato, dove più dove meno, infatti andrebbe regolamentato, ma l’ultima legge è del 1949 e si sta procedendo, di legislatura in legislatura, con decreti ministeriali; ritengo comunque che sia un servizio pubblico e che vada sostenuto.
D. L’essere donna è stato un vantaggio, un ostacolo o un aspetto ininfluente?
R. Un po’ un vantaggio, un po’ un ostacolo, un po’ un aspetto ininfluente; ma non direi l’essere donna, perché, lavorando da quando ero piccina, molti mi considerano ancora una bambina, si meravigliano che sia cresciuta, anche adesso che ho 57 anni…
D. Quali tematiche privilegia?
R. Il mio lavoro si concentra sul corpo, sulle sue emozioni e sentimenti più intimi e profondi.Mi interessano tutti quegli aspetti irrazionali della mente, considerati “disturbi evolutivi” secondo un retaggio culturale che vede il dominio della razionalità, che si manifestano liberamente, fuori dal nostro controllo. Considero materiale di ricerca i gesti semplici e ordinari, così ricchi di interiorità ed emozione, simbolo di ogni singolo istante di vita vissuta.
D. Quali autori o temi privilegia?
R. Ultimamente non sono più stata scelta dai registi per determinate parti, come capita quasi sempre, ma ho avuto la possibilità di scegliere io cosa interpretare e con chi; credo nella drammaturgia contemporanea, italiana e no, e ritengo che siamo noi, attori d’esperienza, a dover aiutare i giovani autori, ed il miglior modo è recitarli.
D. Ha qualche consiglio da dare ad artiste/attrici emergenti?
R. Studiare, studiare, studiare, e cercare di essere equilibrate; questo è un mestiere molto sviante, se non si ha una buona tenuta psichica e fisica non si resiste.