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atrizia Besantini è mime performer, regista, actor coach docente di mimo e danzamimica, presidente del centro internazionale Arti Mimiche e Gestuali, unica accademia di mimo in Italia. Lavora dal 1990 in Italia e all’estero, ha partecipato ai più prestigiosi festival, come quello di Edimburgo, ha creato numerosi spettacoli, corporei e multidisciplinari. Per dettagli sulla sua attività e per il calendario di spettacoli www.artimimiche.com
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Il suo percorso di donna e artista. Quali elementi differenziano l’opera di una donna da quella di un uomo?
E’ curioso ma tutti si immaginano che quando parli di mimo intendi un attore uomo, infatti inizialmente la formazione è impostata con movimenti tipicamente maschili, forse perché la maggior parte di insegnanti sono uomini; da allievo assumi una sorta di calco maschile, io ho poi fatto una ricerca personale per sgrossarmi da queste attitudini mascoline. Inoltre come donna è meglio che mi definisca attrice di mimo e non mima, il linguaggio comune non lo contempla.
Tra la vocazione artistica e la raggiunta autonomia c’è stato un divario? Ha fruito del sostegno della famiglia?
La mia è stata una scelta autonoma, non vengo da una famiglia agiata, non ho avuto supporti economici ed il passaggio fondamentale per mantenermi è stato la scelta di fare teatro in strada, quando il rischio di essere arrestati era prossimo; ho pagato affitti con i soldi che guadagnavo esibendomi all’aperto. Ai miei genitori dava la sensazione che facessi la carità, perché c’è un aspetto simbolico traviante nell’arte di strada, quello del cappello a terra, assimilabile al porgere la mano. Ma tra le due cose c’è una bella differenza.
Racconti, se si è verificato, un episodio determinante per la sua scelta professionale.
L’incontro con Maria Claudia Massari, assistente ufficiale di Marcel Marceau; stavo lavorando con Gabriele Calindri al Teatro dell’Elfo di Milano nella produzione “Risvegli”, ero appena tornata da un biennio in Spagna e durante l’allestimento mi ero iscritta ad uno stage condotto da Claudia la quale, notando una mia certa predisposizione, mi suggerì di continuare; la seguii a Siena ed intrapresi decisamente la via del teatro mimico e gestuale, abbandonando la parola, per dedicarmi al corpo.
Investimenti privati e finanziamenti pubblici: cosa pensa della relazione tra denaro e cultura?
Dò per scontato di dover fare affidamento in primis su tutte le mie forze, pur cercando di attingere alle fonti di sostegno istituzionali, le quali dovrebbero sovvenzionare la cultura ben di più, anche per riconoscerle l’importanza che si merita; appartengo ad una categoria che non è considerata come risorsa economica nel nostro paese e questo ne limita anche lo sviluppo, perché senza denaro le idee inesorabilmente si rimpiccioliscono.
L’essere donna è stato un vantaggio, un ostacolo o un aspetto ininfluente?
Tutte tre le cose, a volte un grande vantaggio, altre un ostacolo e in certi momenti non faceva la differenza.
Quali tematiche privilegia e a cosa sta lavorando?
Le mie tematiche sono universali, fondamentali, inequivocabili, mi preme la comprensione chiara ed efficace dei miei lavori; ho ripreso “Passi”, una mia vecchia creazione, sull’iter di vita di ciascuno e sto creando con musicisti jazz in un contesto che sposi luce, musica e movimento: il primo rendez-vous è a marzo con “JazzMime Ensemble Now!”, nell’ambito della rassegna “De Gestibus”, curata da Arti Mimiche.
Ha qualche consiglio da dare ad artiste emergenti?
Di non rinunciare, nonostante tutto, alla propria femminilità, anche in merito alla maternità: il lavoro ti attende e penso anzi faccia parte del percorso artistico rispondere ai richiami biologici.