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Il lavoro è il migliore amico delle donne anche in ambito artistico? Nell’arte, nello spettacolo e nella cultura, crede sussistano ancora discriminazioni?
Certamente il titolo del mio libro è valido anche in quei settori, dove non parlerei proprio di discriminazione, perché la riuscita è anche collegata al talento delle artiste; la difficoltà, se c’è, è più a livello manageriale e politico; abbiamo avuto a Torino e provincia molte donne che hanno ricoperto ruoli importanti, ma talora quelle cariche erano decorative; soprattutto mancano donne dove si decidono le politiche culturali, negli assessorati e nelle fondazioni bancarie.
Femminilità e giornalismo: come si coltiva la parità?
Nel giornalismo la parità è ancora molto lontana; io appartengo ad una generazione che ha potuto introdursi in un mondo che aveva ancora spiragli; ho cominciato alla Gazzetta del Popolo appena rifondata, avevo 22 anni e non conoscevo nessuno, mi sono presentata all’usciere che mi ha introdotto dal direttore, il quale dopo cinque mesi mi ha assunta. Poi, per ragioni personali, ho lasciato a più riprese un percorso così lineare, scegliendo una precarietà in qualche modo privilegiata, ma il giornalismo ora si è adeguato alla tendenza generale del mercato: in gran parte il lavoro è appaltato all’esterno a persone che vendono la propria professionalità a prezzi ridicolmente bassi, a discapito della qualità di vita e del prodotto; questo è un meccanismo malsano su cui non si pone sufficiente attenzione. Nei giornali sono aumentate le donne, non come in altri settori quali la medicina o l’avvocatura, ma la maggiore presenza femminile non corrisponde ad un’effettiva forte ascesa nei posti di comando, ad esempio al Corriere della Sera c’è solo da un anno una donna caporedattore centrale. C’è grossa resistenza culturale, le grandi firme femminili si occupano di costume ed intrattenimento, non di politica ed economia, ambiti in cui si concentra il potere.
L’essere donna è stato un vantaggio, un ostacolo o un aspetto ininfluente?
Un vantaggio, per la maggiore flessibilità, per la facilità a cambiare rotta.
Cosa pensa degli investimenti statali a sostegno della cultura?
Hanno un senso ma sembrano risentire più di altri dei periodi fortunati od infausti; ritengo sia troppo spesso una zona di parcheggio parallela alla politica, una sorta di mondo a parte, in effetti povero, sottoposto però più di altri a pubblico ludibrio.
Racconti, se si è verificato, un incontro determinante per la sua scelta professionale.
Una persona che per me ha rappresentato un modello è Natalia Aspesi; la conobbi in un’occasione ben triste, il rogo del cinema Statuto, la vidi nelle camere mortuarie, era l’inviata di La Repubblica ed io ero alla Gazzetta del Popolo, mi colpì molto questa donna che apriva poco il taccuino ma ascoltava tanto; mi resi conto, leggendo i suoi pezzi il giorno dopo, di come si potesse fare ottimo giornalismo con semplicità.
Ha qualche consiglio da dare a giornaliste ed artiste emergenti?
L’unico vero consiglio nel giornalismo è avere le idee chiare, va bene perseguire i propri sogni ma si deve essere preparate ad affrontare anni per costruirsi una carriera; non si può demandare, anche nell’arte, non è più tempo di creatività fine a sé stessa; insegno giornalismo insistendo sugli aspetti artigianali, si deve avere in mente a chi vendi il tuo elaborato e non ci si può più permettere di credere che le immagini non siano di competenza del giornalista, autisti e fotografi al seguito si sono estinti.
Quali progetti la impegnano attualmente?
Sono occupata nella formazione dei giovani giornalisti, con l’intento di trasmettere loro canali di accesso trasparenti e democratici. Poi ho delle idee relative a libri futuri, ma adesso mi basta spartirmi tra il master e La Repubblica.